Il cuore di Gimondi

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Esiste un derby nel ciclismo?

Noi italiani abbiamo vissuto il derby Coppi-Bartali e quello livoroso Moser-Saronni.

Chi non è più un ragazzino, come me, ha vissuto il derby del mondo sulle bici da corsa. Straordinario ed epico, nel senso più compiuto della parola, tra Felice Gimondi ed Eddy Merckx.

Oggi Felice ha deciso di farci lo scherzo più brutto e crudele.

Quel cuore che lo aveva fatto raggiungere i traguardi più grandi cui uno sportivo possa ambire si è fermato improvvisamente e per sempre.

Quel cuore indomabile che lo aveva trascinato a Mendrisio nel ‘71 in un mondiale giocato faccia a faccia contro il Cannibale che aveva lasciato tutti tranne lui, come spesso accadeva, per poi batterlo in volata.

Quel cuore che lo aveva visto prendersi la rivincita clamorosa due anni dopo, a Barcellona, in una volata in cui fiammingo si era improvvisamente piantato dopo aver dominato la corsa e Felice lo aveva rimontato insieme all’altro belga, Freddy Martens ed a Luis Ocana, permettendogli  di coronare il sogno mondiale che pareva essere l’unico traguardo stregato.

Quel cuore che gli aveva detto nella Roubaix del ’66 di andarsene da solo a 40 km dal traguardo per andare a cogliere la vittoria sul pavè.

Quel cuore che nel 1969 in una stanza di albergo a Savona gli faceva consolava l’eterno rivale in lacrime per essere stato appena squalificato per doping.

Quel cuore che nella stessa circostanza non gli fece indossare la maglia rosa di primo in classifica per rispetto a Merckx squalificato.

Quel cuore che, fasciato con l’iride nel ’74, gli aveva fatto completare il ciclo della sua carriera sportiva vincendo anche la Sanremo, la classica tanto amata quanto indigesta a noi italiani.

Tre Giri, un Tour, una Vuelta, Roubaix, Sanremo, Lombardia, Mondiale, due volte Campione d’Italia.

Non è mancato nulla nel suo palmarès.

Un palmarès che lo colloca tra i grandissimi della storia del ciclismo.

Ma lo ricordiamo, commossi, per quel suo coraggio indomito di fronte ad un campione inarrivabile come Eddy che più e più volte ne ha omaggiato la grandezza.

In una intervista di pochi anni fa Merckx disse che forse senza Gimondi avrebbe vinto meno. Perché avere quale avversario un indomabile di quella levatura lo costringeva a non abbassare mai la guardia ed essere sempre competitivo al massimo.

I ricordi personali si confondono in questa giornata triste infinitamente, con quelli della sua carriera.

Il Tour del 1965 seguito, da bambino, in Tv insieme a mio padre. Quella sorpresa improvvisa di un ragazzino che era andato per fare esperienza ed aiutare Vittorio Adorni e che giorno dopo giorno aveva deciso di vincerlo.

Le storie che arrivavano da Sedrina imbandierata con il giallo.

La mamma postina ed papà camionista.

Lui Bartaliano e non poteva essere altrimenti.

Ed ancora la Roubaix, l’anno successivo, con il mio pronostico, folle, fatto a papà alla fine della corsa.

Papà vince pure domenica prossima. A Bruxelles. E così fu.

Parigi-Roubaix e Parigi-Bruxelles in sette giorni. Il Lombardia a fine 1966. L’anno altalenante delle grandi classiche mentre si affacciava quello che sarebbe stato l’incubo, l’ossessione e la misura della sua grandezza: il cannibale Merckx.

Il mondiale di Spagna vissuto con mio fratello accanto nel salotto di casa sua a Bonn in Germania. E dopo la vittoria clamorosa di Felice due giorni in attesa che a Bonn arrivasse il Corriere dello Sport per leggere tutto di quella giornata che aveva visto il mio idolo vincere il Mondiale.

Per ogni vittoria, ed anche per le sconfitte più brucianti come quella sulle Tre Cime di Lavaredo, al giro del 1968 potrei dire dove ero e cosa stessi facendo.

Grande, grandissimo Felice Gimondi, nessuno sportivo al mondo finirà mai di ringraziarti per le imprese e per l’insegnamento che ci lasci.

Mai arrendersi, dare tutto quel che si può, mai rassegnarsi.

Poi con signorilità accettare il verdetto del campo e più in generale quello della vita.

Io non finirò mai di ringraziarti per tutto quello che mi hai regalato.

Tranne oggi.

Giornata in cui mi stai facendo vivere una delle più brutte sensazioni della mia vita.

Ciao Felice non ti ho mai incontrato personalmente ma ti ho voluto un bene dell’anima.

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