Discorso semiSERIO sulla indipendenza ischitana

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Dalle nostre parti si dice che l’ospite, come il pesce, dopo tre giorni puzza.
E l’ospite deve essere intelligente a capirlo e togliere il disturbo.
Noi ischitani siamo duri a capire, siamo notoriamente poco intelligenti ed avvezzi al crimine. Abbiamo impiegato 157 anni a notare che effettivamente siamo un peso notevole per l’Italia che mal ci sopporta.
E con qualche ragione, beninteso.
Dopo il 21 agosto 2017 qualcosa doveva darci ad intendere che effettivamente sarebbe stato il caso di iniziare a togliere l’ingombro.
Ma noi niente.
Fessi come sempre, abbiamo continuato a sperare nella ricostruzione delle case demolite dal sisma e almeno nella legittimazione della sofferenza di una parte della popolazione.
Ma visto che non capivamo nulla la madre Patria ha deciso, in pompa magna, di farci capire che è giunto il giorno di levarsi dalle scatole.
E così con un decreto falso che nulla toglie e nulla mette alla desolazione delle famiglie e dei territori colpiti, tra un editoriale sul Corriere della Sera ed un commento di Travaglio che ci additano al pubblico ludibrio come l’esempio lampante di cosa sia il malaffare e l’inadeguatezza civica nella quale ci dibattiamo ci siamo ritrovati di nuovo al centro del dibattito italiano.
La sofferenza di Genova, quella del Veneto, la disgrazia in Sicilia.
Tutto giusto per carità.
Ad ogni piè sospinto il numero solidale, il C/C per la raccolta fondi, l’SMS per l’alberello delle dolomiti caduto, quello per il ponte, l’altro per la strada verso Portofino. Tutte cose nobili si badi bene.
Ma per Ischia? Avete sentito qualcuno che abbia detto di versare un centesimo per il terremoto ischitano?
Vabbè del resto perché farlo. Siamo abusivi.
Siamo abusivamente italiani.
Noi siamo dei “diversamente abusivi”.
E sì perché in questo Paese che comincio a ritenere sempre meno mio, incredibile a dirsi, se si occupa, abusivamente, un palazzo, un condominio intero da parte di un centro sociale, di un gruppo di poveri disgraziati africani sbarcati da un gommone, si deve avere, e si ha, la solidarietà e la comprensione della pubblica opinione.
“Dove dovrebbero andare?”
Ma se, abusivamente, un padre di famiglia si è riempito di debiti per costruire un tetto dove riparare se e la sua famiglia in assenza di qualsiasi regola che certificasse il suo diritto a vivere, lavorare ed abitare sull’isola dove è nato, ecco la condanna dell’Italia intera.
Che in 50 anni si prendesse atto, una buona volta, che dal dopoguerra in poi gli ischitani sono stati capaci di invertire la rotta che li vedeva dover salire su un piroscafo verso l’America per mandare un sacco di farina a casa e sono passati dall’essere 23mila a 65mila, che hanno fatto diventare, pur con tanti limiti e contraddizioni, questo posto il comparto turistico più grande del meridione e forse anche d’Italia, che contribuiscono per il quasi il 25% al PIL turistico dell’intera Regione.
Ma i vari Stella, Rizzo, Travaglio, Palombelli, Cruciani e tanti altri si sono chiesti dove dovremmo vivere?
Siamo abusivi del resto, perché occuparsene, meglio additarci come l’esempio negativo di un Paese modello di organizzazione, senso civico ed onestà: l’Italia.
Ed allora perché non togliere il disturbo.?
Proviamo a chiedere quello che chiedono i catalani.
Diventiamo una Repubblica a parte. Come Malta.
Potremmo iniziare ad aprire nuovi sportelli bancari con conti cifrati come fanno in Lussemburgo o a Malta.
Mettere su dei bei bordelli legali così che gli italiani non debbano andare nella triste Svizzera, ma venire qui a divertirsi.
Un bel Casinò al posto del Pio Monte della Misericordia. Tutta una serie di opzioni commerciali che fanno schifo alla onestissima e pura Italia, ma che ad un popolo abusivo come il nostro non dovrebbero fare specie.
Magari iniziare a pagare la benzina la metà senza dover versare un balzello inaudito a Roma, farci un inceneritore che ci tolga la croce della “munnezza” da portare sulla terraferma.
Farci le leggi che ci piacciono.
Morire di morte nostra e non teleguidata da Roma.
L’unica cosa che mi dispiacerebbe sarebbe rinunciare ai 4 titoli mondiali di calcio. Ma con i tempi che corrono riciclare qualche pedalatore calcistico in giro per il mondo cui dare la cittadinanza ad honorem per fare una nostra nazionale ripagherebbe il dispiacere.
Del semiserio in questo moto di frustrazione è restato solo il semi.

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